La consolazione dei pusillanimi

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Ancora nei primi decenni del Settecento, gran parte delle pubblicazioni religiose è caratterizzata dalla lingua latina.

Il principio di fondo – secondo cui il latino era la lingua sacra – si basava sul fatto che le sacre scritture non potessero (leggi: non dovevano) essere “chiare” a tutti, in particolare agli ignoranti (ovvero quasi la totalità del popolo) che le avrebbero interpretate in maniera errata.

Nonostante la riforma protestante avesse fatto della traduzione in volgare una propria bandiera, i padri della Controriforma, inizialmente rimasero fermi su posizioni rigide. Chi possedeva una Bibbia in volgare poteva rischiare di essere mandato al rogo dall’occhio vigile dell’Inquisizione.

Diversamente dalla Bibbia, libro sacro, i libri religiosi poterono essere pubblicati in italiano volgare, non prima di essere passati sotto l’accurato controllo della censura ecclesiastica, l’imprimatur. Un libro che non superava il controllo dell’Inquisizione o del Vescovo finiva all’Indice dei libri proibiti, mentre il suo autore rischiava un processo per eresia.

In questo clima di sospetto, la maggior parte degli editori evitava di correre rischi, limitandosi a pubblicare libri dichiaratamente, anche nel titolo, conformi all’ordodossia cattolica. Fra la fine del Cinquecento e gli inizi dell’Ottocento i libri a contenuto religioso più diffusi erano quelli indirizzati ai sacerdoti o ai devoti e/o penitenti. Molti testi non erano altro che la traduzione in volgare di opere precedenti, già pubblicate rigorosamente in latino.

Il libro che vi segnalo in questo articolo si inserisce nel panorama sopra descritto.  Già il titolo è di un tenore “tranquillizzante”: “Consolazione de’ pusillanimi – Raccolta dalla Sacra Scrittura, ed altri Santi, ed antichi Padri“, edito intorno alla metà del XVI secolo dal monaco benedettino, Ludovico Blosio (1506-1566).

L’edizione in questione, in formato 24° – ma direi ancora più precisamente in un inconsueto 28° – fu pubblicata nel 1730  a cura di Giovanni Maria Salvioni, stampatore vaticano, nella versione tradotta appunto in italiano da Giovanni Battista Lucini (1609-1739), accademico e letterato romano, autore di diverse opere.

L’opera è dedicata a coloro che vogliono vivere bene, nella divina Grazia, mortificando se stessi, senza cadere in quei peccati che, seppur non mortali, se non saranno cancellati con un’adeguata penitenza, dopo la morte necessiteranno di un lungo Purgatorio.

Ma è rivolta anche agli Eretici (scritto proprio con la maiuscola), che potranno ottenere anch’essi la consolazione dell’anima, a condizione che si sottomettano all’obbedienza della Chiesa Cattolica.

L’edizione in questione è la seconda curata da Salvioni, dopo una prima pubblicata nel 1718 (ve ne sarà una terza, a cura dello stesso, datata 1739).

L’opera è corredata da diverse immagini incise all’acquaforte che portano la firma di vari artisti, fra cui quella di Rosalba Maria Salvioni, figlia del curatore dell’opera e discepola di Sebastiano Conca, che realizzò due delle incisioni. Le altre sono firmate da Giovan Battista Puccetti, Massimiliano Limpack, Vincenzo Franceschini, Luigi Gomier, Giandomenico Campiglia e Giovanni Battista Sintez.

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2 risposte

  1. angela

    oggi ho ricominciato dopo una lunga assenza per problemi di salute a leggere i meravigliosi articoli io ringrazio sempre perchè imparo sempre cose nuove e belle complimenti

  2. Giancarlo De Leo

    Ciao Biagio, non vedo più il tasto dove cliccare \”Mi Piace\”… Mi piace! Ciao!!!

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