Quello strano timbro sull’immaginetta

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Un timbro di collezione posto sul verso di un'incisione di Koppe
Un timbro di collezione posto sul verso di un’incisione di Koppe

Non so a quanti di voi sarà capitato di notare, di solito sul verso dell’immaginetta, un timbro costituito da lettere, sigle e/o piccole figure. Qualcuno avrà pensato al marchio della casa editrice, il che può capitare. Tuttavia, quello di cui sto per parlarvi è qualcosa che non appartiene al produttore dell’immaginetta (si tratti di incisione, litografia, cromolitografia ovvero offset, poco importa), bensì al suo possessore.

Quest’ultimo non è un possessore qualunque, ma un collezionista e quel timbro posto sul lato B dell’immaginetta è il suo marchio.

Non a caso infatti, questa piccola figura, spesso intrecciata con lettere (le iniziali del collezionista), con sigle o con frasi e motti, viene definita marchio del collezionista o anche timbro o sigillo di collezione.

Se da una parte, tale timbro non danneggia l’immaginetta, in quanto è generalmente composto da inchiostro che si asciuga dopo poco, senza sporcare ulteriormente il pezzo, dall’altro può essere una presenza ingombrante.

Mi spiego meglio. Il timbro di collezione serve a evidenziare che il pezzo in questione è di proprietà di Tizio. Ciò può fare piacere al proprietario stesso (altrimenti non l’avrebbe fatto), non certamente a chi potrebbe acquisire il medesimo pezzo in futuro.

Sia chiaro: se tale timbro sta a indicare che l’immaginetta è appartenuta a Giacomo Leopardi (per fare un esempio) allora addirittura ne accresce l’interesse e il valore collezionistico, oltreché la sua quotazione di mercato.

Un sigillo di collezione posto sul verso di un'incisione del Callot
Un sigillo di collezione posto sul verso di un’incisione del Callot

Ma se il timbro – magari anche di grande dimensione – appartiene invece a un Pippo Rossi qualunque, allora può rappresentare un elemento di fastidio per il nuovo possessore e collezionista.

Ingrandimento del sigillo
Ingrandimento del sigillo

Immaginate inoltre cosa apparirebbe agli occhi dell’ultimo proprietario del pezzo, se ogni collezionista vi apponesse sopra il proprio marchio.

Eppure, come ben sanno i collezionisti di Stampe, tale abitudine e tutt’altro che rara, al punto che sono stati pubblicati anche dei repertori di questi marchi.Fra quelli più famosi, vi è senz’altro quello della Raccolta Bertarelli di Milano, composto dalle lettere AB (Achille Bertarelli).

Voi cosa ne pensate? Ne avete nella vostra collezione? Li ritenete un valore in più o una svalutazione per l’immaginetta?

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3 risposte

  1. rotundo angela

    Anche io ho qualche immaginette timbrata, per dir la verità è una timbratura che a me da molto fastidio, perchè mi deturpa la bellezza del santino.

  2. Maria Grazia Reami Ottolini

    Normalmente il timbro di un collezionista mi infastidisce parecchio e non appena posso sostituisco il santino marchiato con un santino intonso. Anche piccole sigle a penna che credo servano a chi abbia appena ricevuto un pacchetto di santini da un collezionista o da un donatore a ricordare da chi provenga, mi infastidiscono, benché capisca quanto sia importante sapere da dove il santino arrivi. Sostituisco anche questi quando sia possibile, a meno che il promemoria non sia scritto a matita, sempre cancellabile. L’accumularsi di due o più sigle racconta invece una storia, parla di un santino doppio sballottato di qua e di là e diventa divertente. Quando invece il
    timbro è interessante per la provenienza, non necessariamente illustre, ma comunque indicativa di una storia del santino stesso, lo tengo come pezzo unico, e gli affianco un eventuale doppio intonso. Può essere il caso di confraternite, di comunioni pasquali per le quali il sacerdote trovava più comodo o meno dispendioso e tuttavia documentato l’accostarsi del fedele al sacramento dell’Eucaristia in quel frangente, ma tengo anche i santini timbrati dai “miei corrispondenti storici”, cioè da collezionisti con i quali scambio santini da anni e anni e di cui sono ormai amica di penna e di baratto.
    Ho voluto rispondere alla domanda di Biagio Gamba perché anche io mi ero posta il problema molto tempo fa e l’ho risolto come ho raccontato, ma anche perché all’inizio della raccolta del Museo del Paesaggio di Verbania devo ammettere amaramente che anche io scrivevo dietro il santino (a penna!!!!!) dapprima tutto il nome del donatore, poi sostituito (ancora a penna!!!!) da una sigla. Devo dire a mia discolpa che ho smesso quasi subito questa prassi per ripiegare sulla matita. Invece il numero di inventario che inizialmente scrivevo a matita per non “rovinare” il santino ha subito il processo opposto: ora lo scrivo a penna proprio perché non si cancella e gli aggiungo il piccolo tibro del museo di Verbania. Quindi l’argomento delle mie aggiunte proditorie sul verso dell’immagine riguarda molti dei doppi che scambio. Taluno si è lamentato, anche se con garbo, del fatto che invio santini col timbro del museo, ma nel mio caso ritengo che il sapere che quel santino proviene dai doppi di una grande collezione italiana sia un pregio; non proprio un Giacomo Leopardi, ma una collezione storica perché una delle prime in Italia e probabilmente l’unica pubblica. Naturalmente il timbro è annullato dalla mia firma, o almeno, da una specie di sgorbio che vorrebbe essere una mia firma, tipo, per chi riesca a decifrarlo, una specie di OTTL, un autografo dunque, che indica come quel santino non sia stato trafugato con destrezza da qualche album della collezione, ma goda di legale libertà di scambio. Naturalmente mi scuso delle prime scritte a penna che sono esecrabili, anche perché qualche inchiostro può aver macchiato anche il recto del santino.

  3. BARCAROLI EDMONDO

    Articolo interessante sotto il profilo collezionistico. Personalmente sono contrario all’apposizione di timbri o sigle, sul retro delle immaginette, per attestare la proprietà del collezionista. Purtroppo vi sono persone che ne fanno uso.

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