Non voglio spolverare una vecchia polemica, quella sulle riproduzioni, che ha appassionato molti su altre pagine del web. La discussione – lo ricorderete – era focalizzata sul fatto che la casa editrice Hachette pubblicando, insieme con i fascicoli, in edicola, le riproduzioni delle immaginette, avrebbe dovuto (secondo alcuni) indicare che si trattasse di “riproduzioni”. La questione si giustificava sul fatto che le immaginette erano stampate così fedelmente alle originali, che era quasi impossibile distinguerle da quelle, con buona pace per alcuni venditori, che ne hanno approfittato per “spacciarle” come autentiche.
Il presente post vuole invece rappresentare una piccola guida per coloro i quali, non avendo le necessarie conoscenze tecnche, possono incorrere nel tranello di qualche furfante, acquistando una pseudo-cromolitografia, pensando che si tratti di un pezzo di fine Ottocento, mentre in realtà si trovano una riproduzione datata 2010.
Partiamo subito dall’idea che non è sempre facile riconoscere un’originale dalla riproduzione, soprattutto se entrambe sono state realizzate con la stessa tecnica, l’offset o una delle tante tecniche fotomeccaniche. Tuttavia, un occhio attento, aiutato da una provvidenziale lente d’ingrandimento, può risolvere il problema.
Le immagini che vedete sopra raffigurate, rappresentano una riproduzione di una cromolitografia (recto/verso), a margini traforate a punzone, stampata dall’editore Müller di Innsbruck intorno alla fine del XIX secolo. Come potete vedere è fedelissima all’originale, comprese le scritte sul verso.
Ora, osserviamo con attenzione.
Se ingrandiamo una selezione della riproduzione, vediamo che il colore presenta delle grane molto grosse
Ora guardiamo la stessa selezione, questa volta della cromolitografia originale (il livello di zoom è identico)
La differenza balza subito agli occhi: anche in questo caso il nostro occhio vedrà i caratteristici “pallini” di colore, ma questi sono distribuiti in maniera più uniforme, quasi fosse un dipinto.
Un altro esempio, forse potrà essere più illuminante. Se osserviamo la parte della carta non colorata, nella riproduzione (sotto a sinistra) noteremo i soliti pallini a grana grossa, che invece non vediamo nella stessa sezione dell’immaginetta originale (sotto a destra)
Se poi, ingrandiamo una sezione del verso della riproduzione, noteremo anche qui gli stessi pallini.
Come possiamo comprendere facilmente, questo fenomeno è dovuto al fatto che l’intera immaginetta riproduce a sua volta un’immagine. Anche la parte del verso con gli scritti, e la parte del “merletto”, in realtà sono una fotografia del corrispondente originale.
Detto questo, c’è un’ultima prova importante da fare se vogliamo capire che trattasi di una riproduzione: toccare il pezzo. Sentiremo che non abbiamo in mano una carta qualunque, avremo la sensazione che sia quasi plastificata. Nulla a che vedere con l’assoluta delicatezza di un merletto di carta di un secolo prima.
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Stefano Fasoli
Concordo con Biagio su tutti questi accorgimenti. Il problema maggiore però potrebbe sorgere se non abbiamo una lente per ingrandire.
Credo che in questo caso l’unica alternativa è capire come ci spiega bene Biagio, il tipo di carta. Aggiungo anche annusando l’odore del santino e della carta ci potrà aiutare, so che vi sembrerà strano ma la carta vecchia o antica ha un proprio odore caratteristico….tutto aiuta
Giacomo
Utilissimo il post di Biagio.. E concordo con l amico collezionista sul fatto dell odore della carta.. Mi é capitato più volte di sentire ” l’originalità” con l olfatto.
antonio d'errico ramirez
Interessante ed utile la spiegazione. Non dovrebbe essere necessaria se anche nel collezionismo ci fosse rispetto per l’altro. In primis mi rivolgo alla casa editrice Hachette che non gli costava nulla se nel retro della ben fatta stampa, in caratteri minuti ,aggiungeva “riproduzione”. Motivo per il quale non li ho acquistati.